L’art. 8/4 del D.Lgs 28/10 sancisce che il Mediatore, quando non procede ai sensi del comma 1, ultimo periodo, può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali; in altre parole è consentito, in seno al procedimento di mediazione, l’espletamento di consulenza tecnica.

Il tema che affrontiamo riguarda la possibilità, per i soggetti parti del procedimento giudiziario, di produrre in quest’ultimo, e, quindi, di avvalersi della relazione redatta dal perito, nel procedimento deflattivo; è il caso dell’accertamento, a mezzo di consulenza medica, dei danni subiti da una persona, in presenza di domanda risarcitoria (art. 8 L. 24/17, che prevede, in alternativa al ricorso ex art. 696 bis cpc, la possibilità di esperire il procedimento di mediazione).

La Giurisprudenza è dell’avviso (Trib. Roma, Sez. XIII, 17/03/14) che la relazione redatta dal consulente tecnico, nel corso di un procedimento di mediazione, conclusosi senza accordo, può essere prodotta nel giudizio contenzioso, ad opera di una delle parti, senza violare le regole sulla riservatezza, che permeano il dianzi citato procedimento; il Giudice, pertanto, potrà utilizzare tale relazione “secondo scienza e coscienza ” al fine di trarre argomenti e/o elementi utili al suo convincimento.

Il Tribunale Romano, sostanzialmente, ritiene che la consulenza, redatta nell’ambito del procedimento di mediazione, possa trovare ingresso davanti al Giudice, quale prova atipica, valutabile, da quest’ultimo, nei termini indicati.

Il fondamento dell’ammissibilità risiede, oltre che nella mancanza di contrasto con le regole che impongono la riservatezza, nell’ assenza di impedimenti giuridici all’utilizzo della relazione peritale, fuori dalla mediazione e, specificamente, nella causa che può seguire, o proseguire.

I divieti previsti dalla legge hanno ad oggetto le dichiarazioni delle parti; l’attività svolta dal consulente, invece, all’esito degli accertamenti che compie, che non potranno consistere nel raccogliere e riportare le dichiarazioni delle parti, in quanto ciò non rientra nei suoi compiti – in ambito contenzioso la dianzi citata possibilità è subordinata ad autorizzazione ex art. 194/1 cpc – si estrinseca nella esposizione delle operazioni svolte e dei risultati raggiunti.

Nel solco dell’ammissibilità, in giudizio, della relazione peritale, si colloca la peculiare pronuncia resa dal Tribunale Ascolano – 18 Aprile 17 – che ha prescritto al Mediatore, nell’evidente intento di riduzione dei tempi processuali, in ipotesi di mancato accordo delle parti, la formulazione di proposta conciliativa, sulla base di espletata consulenza tecnica, su quesiti già formulati dallo stesso Giudice, che potrà, anche ove non oggetto di allegazione nel procedimento giudiziario, essere, d’ufficio, acquisita agli atti della procedura.

Chiarita, per quanto esposto, l’ammissibilità della ctu nel procedimento giudiziario, esaminiamo la sua valenza probatoria all’interno di quest’ultimo.

La risposta non può prescindere dal considerare che: a) l’assenza di una norma di chiusura – da intendere quale mancanza di indicazione del numerus clausus delle prove – b) il principio del libero convincimento del Giudice – art. 116 cpc- c) l’estensibilità contenutistica della produzione documentale, inducono ad escludere la tassatività dell’elencazione delle prove nel processo civile (in tal senso Trib. Reggio Emilia, Sez. Civ. II, 1622/14).

L’efficacia probatoria, pertanto, della ctu in esame non può che essere quella di presunzione semplice, ex art. 2729 c.c ovvero di argomento di prova, ex art. 116 cpc, e ciò sino a quando, de iure condendo, il Legislatore non introdurrà, nel nostro ordinamento processual – civilistico, la previsione di canali alternativi alla redazione della ctu.

By Giovanni Del Pretaro

 

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